D: Di notte si dorme, se non altro per la stanchezza, e al mattino ci si prepara, come sempre, con parecchia calma. Ma un po’ di tens...

Il giorno più lungo

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D: Di notte si dorme, se non altro per la stanchezza, e al mattino ci si prepara, come sempre, con parecchia calma. Ma un po’ di tensione c’è: oggi vietato sbagliare, oggi deve filare tutto liscio o non ne usciamo... E partiamo senza sapere che questo sarà il nostro ‘giorno più lungo’, senza sapere che prima di esserne fuori faremo l’alba...


Passiamo un erg di dune molli
Iniziamo con la nostra mega deviazione, con l’intenzione di aggirare il cordone di dune. Viaggiamo su una distesa di sabbia, tenendoci le dune a destra, in attesa di vedere l’ultima collina di sabbia o un canale abbastanza ampio per infilarcisi dentro. Ovviamente abbiamo perso le speranze di vedere una traccia decente, una qualche pista da seguire... E passano i chilometri. E passa il tempo. Fino a quando davanti a noi non si materializza un altro cordone di dune, perpendicolare a quello che stiamo costeggiando: vicolo cieco quindi, di qui non si passa! L’unica soluzione è tornare indietro, seguendo le nostre stesse tracce che il vento ha già in parte cancellato.
Siamo quasi al punto di partenza quando decidiamo di infilarci in un corridoio, che certamente finisce, ma che si addentra abbastanza tra le dune. E arrivati in fondo, con ormai solo dune a destra, sinistra e di fronte lasciamo le moto e partiamo per una lunga ricognizione a piedi: si cerca di salire il più in alto possibile, si studiano i passaggi migliori e quelli da evitare assolutamente. Piccoli passi, pestando la sabbia per verificarne la consistenza; occhi sgranati, cercando di fissare aleatori punti di riferimento e di studiare le diverse sfumature di colore della sabbia... E poi la liberazione: ecco che si vede un’uscita, ecco la direzione da prendere per passare meno dune possibili! Torno indietro entusiasta, l’uscita c’è! Ma... ma quanto dovremo penare per arrivarci? Il briefing è rapido: ‘Franco, dai gas! Franco, non ti fermare mai!’. E via! Un po’ si spinge, un po’ si urla... ma neanche troppo, e in meno di un’ora siamo fuori!

La sabbia è una cosa fantastica, ma il piattone che segue, di terra dura, disseminato di rocce, sferzato dal vento... è quasi la Terra Promessa! E si intravedono pure delle tracce! Filiamo veloci, ora si viaggia più distesi, e l’unica preoccupazione è quella di bere poco e di consumare poca benzina...

Meccanica spicciola al vento
Fila tutto troppo liscio, e allora la moto decide di singhiozzare... e poi di spegnersi. E non vuole ripartire. Sul piatto più totale, in mezzo al niente, con i granelli di sabbia portati dal vento che ti bucano gli occhi, tocca anche fare i meccanici! E se per smontare mezza moto ci va abbastanza poco, il nervoso e la perdita di tempo si sommano per slegare e tirare giù il bagaglio, cercare i ricambi (alla fine è solo uno dei tre filtri della benzina intasato, ma bisogna pure cambiare qualche tubo di raccordo...) e ricomporre lo zaino come nel diabolico gioco di tetris, dove neanche uno spaziettino infinitesimale può rimanere vuoto... 

Non cade solo Nicola!
Si riparte; il piattone continua fino ad un palmeto nei pressi di Ain Cefra, dove le carte indicano un pozzo. Ci fermiamo e arriva subito qualche bambino a cui chiediamo se per caso abbiano benzina. Ovviamente no, ma per l’acqua (seconda richiesta) si può fare qualcosa. Lo seguo per un centinaio di metri e arriviamo ad un pozzo scavato nella sabbia: il ragazzo sposta la lamiera che lo copre e si vede un buco di circa un metro di diametro e profondo sei o sette... e il fondo è ricoperto di sabbia umida: dell’acqua non c’è traccia! Sale l’angoscia: noi a fine giornata non arriveremo, specie se finiremo la benzina lontano da qualcosa o qualcuno, ma in qualche modo ci arrangeremo... ma questi? Ma questi non devono resistere fino a domani, questi devono viverci qui!
Forse il tizio legge l’angoscia nei miei occhi, mi dice di non preoccuparmi e si avvicina ad una palma: lì sotto c’è una specie di otre, e con l’acqua che c’è li dentro mi riempie due bottiglie. Acqua... sicuramente acqua, ma di colore marrone, piena di depositi e... incredibilmente puzzolente! Forse dopo aver bevuto l’acqua del radiatore e l’acido della batteria riuscirei a bere questa roba, comunque ringrazio con vistosi gesti di approvazione e ampi sorrisi. Torno da Nicola, non ho coraggio di dirgli quello che ho visto e lo stato dell’acqua che ho preso.
Scorpacciata di frutti locali
Subito veniamo distratti dagli abitanti del posto, che tengono in mano dei frutti somiglianti a meloncini verdi. Chiediamo se siano commestibili e se ce ne vendono uno: la cifra è alta, ma dobbiamo pur ringraziare per l’acqua! Lo tagliamo in due (dentro ha una polpa bianca e dei grossi semi) e io divoro la mia parte scavando col cucchiaio del coltellino. Dolce, fresco e dissetante! Forse per paura della sete che rischiamo di patire, ne mangio altri due interi (ovviamente appena hanno visto che gradivamo si sono materializzati decine di questi frutti!), fino a sentire lo stomaco reclamare: almeno in caso di non commestibilità sarei morto senza soffrire...
Mentre sbanchettiamo seduti sulle moto in mezzo alla pista che attraversa il palmeto, arriva un fuoristrada locale con dei ‘turisti’ francesi sopra: scambiamo due parole, scopriamo che vanno (quasi) nella nostra direzione e scrocchiamo un po’ d’acqua, giusto quella che serve a riempire il camelback. Grazie, grazie, ciao, ciao e ripartono prima di noi...

Faccio un po’ di premura a Nicola: vorrei stare sempre davanti a questo fuoristrada, così ci verranno in aiuto, se capitasse qualcosa. Per superare il fuoristrada ci mettiamo un po’, e subito dopo ci fermiamo per un passaggio un po’ ostico: dove cavolo passa la pista? Da che parte conviene superare queste dunette? Ci piazziamo dietro al fuoristrada, e sfruttiamo la conoscenza delle guide per trovare il passaggio migliore. Peccato che prima di essere fuori ci sia una conca di sabbia mollissima (tipo fech-fech) da oltrepassare... e a spingere ste vacche quasi svuotiamo i camel-back!

N: E mentre spingiamo il fuoristrada ci supera... Ripartiamo di corsa e lo acciuffiamo. Siamo sulla pista giusta!
Dopo poco, incrociamo una famiglia di ricchi turisti mauri intenti a pregare rivolti alla Mecca, a qualche metro dal loro veicolo fermo in mezzo alla pista. Un po' per curiosità, un po' per la solidarietà del deserto che è molto radicata nella cultura locale, interrompono le preghiere per sapere di noi e del nostro viaggio. Ne approfittiamo per elemosinare altra acqua.

D: Ripartiamo, percorriamo qualche chilometro, e in un tratto di sabbia e pietre Nicola cade e non riesce a tirare su la moto: io sono avanti, mi ha avvertito per radio, ma indietro con la moto non ci torno per non consumare benzina inutilmente... Mi incammino a piedi, 5 minuti e sono lì, mettiamo in piedi il mezzo e... e ci passano ancora una volta i nostri angeli custodi! Merda!
Via, via... cerchiamo di riprenderli! Ma a far le cose di fretta non ci si guadagna mai: gli occhi non guardano il GPS e prendiamo una pista che lentamente ci porta fuori rotta... Dopo qualche chilometro decidiamo di tornare indietro: infatti fermandoci e guardando i tratti di sabbia, non si vede nessun segno recente di pneumatico... o almeno non sembra! E quella di tornare sui propri passi, specie quando la benzina scarseggia, non è mai una scelta facile: alla fine non sai mai se indietro trovi la pista giusta, non sai se non l’hai vista o se non c’era... E risolcare le proprie tracce è già un grande spreco, ma nel caso in cui si scoprisse che si era sulla via giusta (o non si trovassero delle valide alternative) ci si sentirebbe anche imbecilli!
Scopriamo una deviazione in cui ci buttiamo, anche se la pista dalla quale arrivavamo era meglio tracciata. Ma dopo poco vediamo dei segni ‘freschi’ sui tratti di sabbia: forse ci siamo!
Il paesaggio torna un po’ monotono, molto ‘pietroso’, un po’ piatto, con l’orizzonte sempre indefinito per via della sabbia sottile presente nell’aria. E del fuoristrada che ‘inseguiamo’ neanche l’ombra, nonostante i km scorrano veloci. E capita l’impensabile: in mezzo a questo deserto, lontano dal più debole segno di civiltà, intravediamo dapprima un’ombra in lontananza, poi la figura assume i contorni di un viandante... un locale vestito all’occidentale, abiti sporchi e lisi... che cammina in mezzo al niente, senza acqua, senza zaino, senza niente di niente... roba da panico a vederlo, roba che noi ci rimarremmo secchi in 12 ore! Nel solito francese gli chiediamo se una macchina è passata di qua, e oltre alla risposta negativa, capiamo che la sopravvivenza deve essere ancora più ardua considerando che gli mancano parecchie rotelle... ma è sereno nel suo vagare, e lo lasciamo al mondo che gli appartiene.
Rotella o no ti pesa quando ti dicono che una macchina che ormai dovrebbe essere a qualche centinaio di metri davanti a te non si è vista! Di segni al suolo neanche l’ombra, per cui si affaccia il solito dilemma: tornare indietro a cercare qualche bivio o proseguire? Ma ormai la benzina è davvero poca, potrebbe finire nel giro di pochi km, e andare avanti sembra l’unica soluzione praticabile...
A questo giro la fortuna ci sorride, e riacciuffiamo i francesi sul fuoristrada locale: vuol dire strada giusta e ancora un po’ d’acqua da scroccare! Ci prendiamo il tempo per scambiare qualche parola in più, raccontiamo della benzina che sta per finire e ci lasciano anche il loro numero di telefono satellitare: una garanzia in caso di reale difficoltà!
Ripartiamo per primi, ancora km e km di una scorrevole pista pietrosa, con il polso leggero che cerca di non dare da bere ai due cilindri... ma col fondo duro si viaggia allegri. La stanchezza inizia a farsi sentire, oggi non ci siamo fermati quasi mai, sempre in sella e sempre su piste sconosciute, con i nervi tesi e il culo alzato, in piedi sulle pedane...

Il passo di Lebchir
Le ombre si fanno un poco più lunghe quando raggiungiamo il passo di Lebchir, una stretta e ripida discesa che movimenta la rotta e regala un paesaggio da incorniciare... Stiamo viaggiando su una specie di altipiano che d’improvviso si interrompe, e per scendere al "gradino inferiore" bisogna superare un tratto ripido, scavato sul fianco della frattura, con grosse pietre smosse piazzate qua e là. Un passaggio tecnico, ma molto panoramico. Mi gusto Nicola che scende davanti a me rimbalzando allegramente da destra a sinistra... Essendo un tratto obbligato, quasi non ci stupisce di vedere una capanna e due ragazzi che vendono souvenir: peccato che non abbiano una mezza tanica di benzina!
Nic trova ancora le forze di spalmarsi al suolo su un tratto di sabbia, e a ‘sto giro piega pure le barre laterali: meno male che è solo sabbia!
Ma niente ci può fermare, e si riparte senza piangersi troppo addosso... O forse qualcosa sì, forse qualcosa può arrestare la nostra marcia: il serbatoio del socio è il primo a prosciugarsi, e l’immancabile singhiozzo del motore indica che è venuta l’ora di trovare una soluzione...
Che sia la fortuna ad aiutare gli audaci, o il fatto che effettivamente ci avvicinavamo al mondo conosciuto, poco importa: fatto sta che poco distante da dove ci troviamo si vedono un paio di tende berbere... E mentre Nicola cerca di convincere la moto a partire anche solo con i vapori della benzina, mi avvicino al piccolo accampamento, da dove già una o due persone stavano seguendo i nostri movimenti... Saluti, scambio di informazioni sul viaggio, sulla salute, sulla famiglia (in pratica un vergognoso tentativo di mimare il rito infinito del saluto locale...) e si entra nel vivo del discorso: benzina!
Benzina sì, o solo forse, ma poco importa, perché ormai siamo fermi e ci dobbiamo considerare loro ospiti...
È risaputo che il tempo cronologico da queste parti non ha alcun valore, per cui inutile insistere per sapere quando e quanta benzina sarà possibile recuperare; l’unica è fidarsi del fatto che abbiano compreso la nostra esigenza, e che un nostro problema diventi un loro problema.. o meglio: che un nostro problema diventi una loro fonte di guadagno nel caso in cui riescano a risolverlo!
Arriva anche Nicola, che è riuscito con dolci carezze a far diventare astemia la sua moto, e siamo tutti invitati ad entrare nella tenda più grande...

Finiamo la benzina vicino a un accmpamento di nomadi

N: Mentre Davide si dilunga nei convenevoli (letteralmente, salamelecchi!) di rito, passa nei pressi anche il fuoristrada dei francesi. Attiro sbracciandomi  l'attenzione del guidatore, che con una piccola deviazione arriva nei paraggi. Il fuoristrada è di un'agenzia di Chinguetti che ispira abbastanza fiducia, certamente più dei nomadi locali... Chiedo se uno dei loro fuoristrada passerà di lì il giorno dopo, o se in possono mandarne uno appositamente. La guida ha un satellitare, potrebbe chiamare subito la base!
Ma i nostri nuovi amici nomadi si premurano di intervenire assicurargli che non c'è bisogno: hanno preso a cuore la nostra situazione, per cui trovare della benzina dovrà essere una incombenza ed un privilegio che spetterà solo a loro!

D: Non resta che entrare nella tenda e vedere come si sviluppa la situazione. Ci offrono anche delle specie di arachidi, che, considerando che sostituiscono il nostro pranzo e (vista l’ora) anche la cena, sgranocchiamo in quantità industriali. E inizia una trattativa estenuante: hanno un fuoristrada con il quale sono disposti a fare i 90 km che ci separano da Atar, lì si può comperare la benzina che serve, e così far tornare a pulsare i nostri motori... Facile... ma mica troppo! La richiesta per i 180 km (90 andare e 90 tornare) appare un po’ esosa, però considerando che potremmo prendere 80 litri e fare il pieno pienissimo alle moto, alla fine il costo per litro può essere accettabile...

N: Giunti ad un accordo  proponiamo che uno di noi vada con loro: niente da fare, sulla strada di Atar c'è uno dei frequenti posti di blocco e dicono di non volerlo passare con dei turisti a bordo, la polizia capirebbe che stanno intascando dei soldi e loro passerebbero delle grane. Sarà... 

D: Raccomandazioni sui termini dell’affare, una stretta i mano, e in due partono a recuperare la broda: ci andrà del tempo, per cui tanto vale rilassarsi e cercare di fare due chiacchiere. Impossibile, le distanze linguistiche sono troppo marcate, e di sicuro l’aver discusso per circa un’ora sui termini del contratto fa tenere a freno la lingua stanca...
Ma l’ospitalità rimane un valore che distingue questa gente, per cui siamo invitati ad unirci a loro per la cena: donne da una parte, in attesa del loro turno (ma secondo me non sono sceme, preparando la cena loro, si strafogheranno il meglio...), e tutti seduti in terra intorno ad un unico scodellone di cous-cous.
Ha inizio una dura lezione di vita... Se pensate di esservi sentiti in imbarazzo ad un ristorante di lusso per via delle 18 posate che fanno bella mostra intorno al piatto... ecco, sappiate che quell'imbarazzo è nullo in confronto a quello che vi potrebbe pervadere l’animo nel caso di assenza totale di stoviglie! Al ristorante potete sempre estrarre a sorte la posata da usare, e poi, a patto di non usare il cucchiaio per mangiare gli agnolotti al magro, nessuno si accorgerà di cosa state combinando... Qui neanche a sbirciare cosa fanno loro ne uscite! Questi prendono un po’ di cous-cous (con la mano, ovvio!), se lo fanno roteare delicatamente sul palmo aiutati da un movimento delle dita, creano una pallina compatta e la accompagnano alla bocca. La mano rimane pulita e l’operazione potrebbe quasi sembrare igienica... Dopo un attimo di esitazione ci siamo buttati anche noi, ovviamente con esito disastroso: preso il cous-cous, questo inizia a passarti in mezzo alle dita, cascando sui tappeti che sono anche il loro letto; la pallina rimane un esercizio di stile inarrivabile, per cui dopo l’evidente imbarazzo provocato dalla assoluta incapacità di eseguire movimenti che -a guardarli- sembrano elementari, ti ritrovi a leccarti con lingua a cucchiaio il palmo della mano, per poi passare a succhiarti le cinque dita... E quella stessa posata, la tua mano sbavata, la devi rimettere nell’unico piatto centrale, quello da cui tutti si servono! Che vergogna!
E poi al ristorante ti danno apposta il tovagliolo, così quando arriva il cameriere lo puoi fare scivolare sulle macchie di vino o di salsa che hai lasciato sulla tovaglia bianca, evitando spiacevoli imbarazzi... ...qui no! Qui ti alzi (già a fatica, perché mica ti puoi togliere gli stivali e impestare la tenda con l’olezzo delle calze che hai su da 15 giorni!) e il tappeto sotto di te sembra una risaia della bassa padana! Cosa fai, copri tutto con la Desert sperando che nessuno si accorga del quantitativo di riso che c’e’ nascosto lì sotto? E poi? Mica gliela puoi lasciare per ricordo, prima o poi quella giacca la dovresti tirare su...
E di imparare non si finisce mai, per cui dopo questa lezione di vita, arriva la seconda mazzata... Torna il pick-up. Anche se ormai è notte fonda, tutto sommato hanno fatto in fretta. Ma le facce dei due sono sconsolate, il guidatore scende e apre il cofano... Ci sono stati dei problemi,  il fuoristrada ha rotto un asse... Hanno potuto recuperare solo 5 litri di benzina, che per noi non sono sufficienti. Strano però, pretendono che paghiamo loro i 180 km fatti!

N: Come come? Ma se sono arrivati fino ad Atar (90 + 90 km), perché, anche col pick-up alle pezze, hanno preso solo 5 litri e non di più? Ehm... ci spiegano che non sono proprio arrivati fin lì, il Toyota si è rotto poco prima di Atar, sono dovuti tornare indietro ad un passo dalla meta, per questo hanno trovato solo 5 litri! Chiaro no? Ma certo...
E dove li avete trovati questi 5 litri? Sotto una duna? Insomma, dopo mille discussioni capiamo (lo capiamo noi, loro non lo ammetteranno mai) che di andare ad Atar non ci hanno mai pensato, i 5 litri li avevano in una tenda a 2 km di distanza, e stanno cercando di spillarci più soldi possibile. Addirittura arrivano a proporci un nuovo affare: trasportare le moto sul pick-up. Ma non era rotto? No, funziona benissimo, come avremo modo di verificare più tardi...
Anche se cerchiamo di non darlo a vedere, siamo furibondi. Passi che si approfittino del fatto che abbiamo bisogno: avremmo volentieri pagato una cifra esosa per la loro benzina se ce l'avessero offerta. È grave invece che ci abbiano impedito di essere aiutati sul serio dal fuoristrada incontrato in precedenza, la cui guida, dimostrando una serietà che queste persone chiaramente non hanno, si era anche preoccupata di chiamarci sul satellitare per sapere se andava tutto bene (purtroppo mentre noi aspettavamo ancora fiduciosi il ritorno del pick-up!). Per di più, lo hanno fatto ben sapendo che con i loro 5 litri non saremmo arrivati da nessuna parte.
Ormai la situazione è diventata sgradevole, e non intendiamo fermarci oltre. Contrattiamo a nostro malgrado l'acquisto di quei 5 litri che, anche se non ci porteranno ad Atar, ci faranno arrivare abbastanza lontano da questo accampamento e da questa gente. Questa volta l'affare non si conclude con la classica stretta di mano, ma con un monito sinistro: Un giorno capiterà a te di avere bisogno di aiuto...

D: Ormai è notte fonda, così arriviamo a trattare con il guidatore del Toyota, che tra tutti è stato l’unico ad aver dimostrato imbarazzo per il comportamento di quelli che ci stavano intorno. È un "trasportatore", e chiaramente è considerato dagli altri come una persona di servizio, di una classe sociale inferiore. In pratica è un taxista del deserto: fa la spola fra i vari piccoli accampamenti di famiglie nomadi nella regione; ora (a mezzanotte!) deve ancora portare delle persone da qualche parte, ma seguendolo ci porterà nella giusta direzione, e una volta finita la benzina, troveremo un accordo per andare a prenderla fino in città.
E allora iniziamo a seguirlo, nella notte, in mezzo alla sabbia, lontano dalla pista. È un incubo: passa di capanna in capanna, da una parte scarica un tizio; dall'altra prende un tappeto; poi raccatta una famiglia; uno che si porta dietro mezza casa, l’altro una capra, e così via. Tutto nel cuore della notte, con queste capanne lontane le une dalle altre, lontane dalle piste e isolate in mezzo al niente. Estenuante. A passo di pick-up stracarico nella sabbia, a 20 all’ora. Allora, se pensate che andare nella sabbia sia complicato, provate quella maura, bella soffice, al buio, costretti a stare dietro ad un fuoristrada a cui stareste dietro correndo a piedi... i voli di Nicola ad un cero punto ho smesso di contarli, anche perché tutte le volte saliva un'agitazione pazzesca: perdere ‘sto tizio, nel nulla, con pochissima benzina, non sarebbe stato un bell’affare!
E puntuale, dopo un’oretta l’ultima goccia di benzina arriva nei cilindri. Poi il silenzio. Motori muti in cima ad un passo, nel cuore di una notte gelida. Se non altro il tizio che stiamo seguendo, con ancora due o tre clienti nel fuoristrada, se ne accorge e si ferma. La strategia è semplice: Nicola aspetta qui facendo compagnia a moto e bagagli, io salgo in macchina (tanto per avere la certezza che questa volta si arrivi ad Atar per davvero) e nel giro di un paio d’ore sarò indietro con la benza!
Si parte e l’autista accompagna a destinazione i clienti. Poi prende per la città. Io -convinto di tornare indietro entro poco- cerco di memorizzare tutti i bivi, ma nel cuore della notte, in un dedalo di piste e sabbia; l’impresa è ardua... così ardua che per lo sforzo di concentrazione mi addormento... Non che si possa dormire veramente stando seduti su un pick-up che fa fuoristrada, ma entro in uno stato di rincoglionimento totale e stacco un po’ il cervello...
Non saprei dire a che ora arriviamo a prendere la benzina, comunque di sicuro è notte fonda, anzi fondissima, e, magia dell’Africa, l’autista sveglia un tipo, che ne sveglia un altro, che...
et voilà, si materializzano una sessantina di litri di prezioso liquido.

N: Partito Davide, tolgo le protezioni e mi sdraio su un sasso, a fianco della moto. Farò un pisolino aspettando che torni: siamo d'accordo che appena avremo la benzina faremo, al buio, i pochi chilometri che ci separano dalla strada per Atar. Illusi...
Il cielo stellato, senza nessuna luce all'orizzonte, è fantastico... ma subito inizio a sentire il freddo. Un freddo inesorabile, entra lentamente nelle ossa, da tutte le parti.... Non resisto, mi metto addosso un po'alla volta tutto quello che ho, incluse le protezioni che, per quanto scomode, isolano dal contatto con la pietra gelida. Ma quanto ci metteranno a tornare?
Dopo un'ora tiro fuori il sacco a pelo e lo uso come coperta. Dopo tre ore inizio a preoccuparmi. Sarà successo qualcosa? Inutile pensarci, in ogni caso non posso farci niente, fermo come sono con due moto a secco in mezzo al nulla...
Mi decido finalmente a montare la tenda, al diavolo la nostra idea di continuare ad oltranza... e finalmente sprofondo nel sonno.

D: Per il ritorno mi piazzo sul sedile posteriore (il pick-up è un doppia cabina) e dormo proprio. Non so dire che ora fosse quando siamo arrivati da Nicola: so solo che c’era una tenda montata in mezzo alla strada e mi ci sono piazzato dentro a dormire...

N: Mi sveglia il rumore del fuoristrada e la luce dei fari puntata sulla tenda. Ci metto un po' a capire dove sono, cosa sta succedendo, e a realizzare che è andato tutto bene... Biascico appena qualche ringraziamento per il nostro autista, faccio spazio a Davide nella tenda, poi ripiombo nel sonno. Sono le 5 del mattino.

Il "campo" in mezzo alla pista, al mattino

Mauritania 2006: Stage 7
5 Gennaio 2007
Percorso: Aic Cefra - Aouelloul (209 km)


Mauritania 2006: Cronologia



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