Stage 4: Il tè nel deserto
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Nel deserto non serve la sveglia… dopo due giorni di sfide per arrivare al passo di Tifoujar, la voglia di uscire dalla tenda e vedere quello che il buio della sera precedente ci aveva lasciato solo immaginare è grande. Abbiamo fantasticato così tanto sulla discesa da questo altopiano e sul canalone di sabbia che ne segue, che già prima dell’alba abbiamo esplorato tutta la zona a piedi.
La vista dall’alto è spettacolare: sarà davvero un passaggio così temibile? Siamo emozionati, un misto di preoccupazione per la difficoltà tecnica e tensione per non veder deluse le nostre aspettative nel gustare questa pista.
Belli carichi, saltiamo in sella, dentro la prima e via! ...Nooooo!!! Ruota della XRV a terra. Forza, riparazione rapida, il passo ci aspetta… ri-via! ...NOOOO!!! Anche la ruota della CRF è bucata… maledette spine di acacie! Cominciamo bene: ora che abbiamo finito di fare i gommisti il sole comincia a scaldare.
Il passo non delude le aspettative: una breve discesa sabbiosa dalla falesia introduce sul fondo di un canalone, un lungo toboga di sabbia molle che tutti i testi indicano come percorribile solo in discesa. Una manciata di km di pura libidine motociclistica, un paesaggio sorprendente, così bello che sembra finire troppo in fretta.
Il canalone sbocca nell’Oued El Abiod, un’enorme valle di sabbia chiusa fra due falesie e costellata di palmeti. Andiamo alla ricerca di un passaggio nascosto per risalire la falesia sul versante opposto. Dieci anni fa un pastore ce lo aveva indicato e lo ricordiamo come uno dei passaggi più spettacolari. Lo ricordiamo anche come molto semplice da imboccare, quindi andiamo a memoria: possiamo fare a meno del GPS. O forse no… prima di deciderci a consultare le cartine infiliamo inutilmente ogni spaccatura della falesia, ritrovandoci sempre in un vicolo cieco.
In compenso rimediamo l’ennesima gomma a terra. Ci guardiamo intorno sconsolati: di ombra neanche l’ombra… se non quella di qualche acacia, a cui è meglio non avvicinarsi per non raccattare altre spine. In lontananza vediamo una minuscola capanna abbandonata in mattoni di terra cruda: il sole è alto ma schiacciandoci contro il muro forse avremo un po’ di tregua!
Presto siamo attorniati da alcuni ragazzi curiosi di seguire la nostra riparazione. Poco dopo arriva il capofamiglia a portarci l’invito per il tè: espressione più profonda dell’ospitalità tradizionale.
La capanna è spoglia, ma questo non ci toglie dall’imbarazzo di dover togliere gli stivali all’ingresso: le nostre calze infastidiscono anche la capretta sonnecchiante all’interno, che si alza e se ne va!
Il rito del tè è lungo e sofisticato. Spetta alla padrona di casa preparare la bevanda, ottenuta versando ripetutamente l’infuso dalla teiera ai bicchieri e dai bicchieri di nuovo alla teiera, con gesti ampi e scenografici. Qui non si usano posate, e questo sistema permette di mescolare gli ingredienti senza usare cucchiaini; inoltre questa procedura funge da coreografia per un rito che si ripete più volte al giorno, come ci racconta il padrone di casa. Per gustare i tre bicchieri richiesti dalla tradizione serve più di un’ora… nulla a che vedere con i tre minuti per un nostro caffè al banco! È un’esperienza da non perdere: la possibilità di cogliere queste occasioni è parte integrante dell’esperienza di viaggio.
Torniamo alle moto e la gomma appena riparata è di nuovo sgonfia. Facendo finta di niente e con gran sorrisi partiamo comunque, consapevoli che se ci fossimo fermati oltre si sarebbero sentiti in obbligo di invitarci anche per il pranzo.
Ancora qualche imprevisto e troviamo finalmente il passaggio per salire sull’altopiano. Una grande duna nasconde l’imbocco di una pista stretta fra sabbia soffice ed una parete rocciosa verticale, da cui si accede a una valle ampia e coltivata.
In compenso rimediamo l’ennesima gomma a terra. Ci guardiamo intorno sconsolati: di ombra neanche l’ombra… se non quella di qualche acacia, a cui è meglio non avvicinarsi per non raccattare altre spine. In lontananza vediamo una minuscola capanna abbandonata in mattoni di terra cruda: il sole è alto ma schiacciandoci contro il muro forse avremo un po’ di tregua!
Presto siamo attorniati da alcuni ragazzi curiosi di seguire la nostra riparazione. Poco dopo arriva il capofamiglia a portarci l’invito per il tè: espressione più profonda dell’ospitalità tradizionale.
La capanna è spoglia, ma questo non ci toglie dall’imbarazzo di dover togliere gli stivali all’ingresso: le nostre calze infastidiscono anche la capretta sonnecchiante all’interno, che si alza e se ne va!
Il rito del tè è lungo e sofisticato. Spetta alla padrona di casa preparare la bevanda, ottenuta versando ripetutamente l’infuso dalla teiera ai bicchieri e dai bicchieri di nuovo alla teiera, con gesti ampi e scenografici. Qui non si usano posate, e questo sistema permette di mescolare gli ingredienti senza usare cucchiaini; inoltre questa procedura funge da coreografia per un rito che si ripete più volte al giorno, come ci racconta il padrone di casa. Per gustare i tre bicchieri richiesti dalla tradizione serve più di un’ora… nulla a che vedere con i tre minuti per un nostro caffè al banco! È un’esperienza da non perdere: la possibilità di cogliere queste occasioni è parte integrante dell’esperienza di viaggio.
Torniamo alle moto e la gomma appena riparata è di nuovo sgonfia. Facendo finta di niente e con gran sorrisi partiamo comunque, consapevoli che se ci fossimo fermati oltre si sarebbero sentiti in obbligo di invitarci anche per il pranzo.
Ancora qualche imprevisto e troviamo finalmente il passaggio per salire sull’altopiano. Una grande duna nasconde l’imbocco di una pista stretta fra sabbia soffice ed una parete rocciosa verticale, da cui si accede a una valle ampia e coltivata.
Per uscirne occorre ancora superare un passaggio trialistico, una salita di gradoni nel granito: la CRF1000 si beve anche questa prova senza esitazioni. Chapeau!
Siamo a due passi dall’oasi di Terjit, un bellissimo palmeto alimentato da una sorgente in uno stretto canyon: anche se oggi abbiamo fatto pochi km, sarebbe un peccato non fermarsi qui per la notte. A differenza di altre oasi, non appare come un luogo selvaggio: l’acqua scorre in canali ben curati, con pozze immaginate per potersi bagnare e tende berbere pronte ad accogliere i pochi turisti di passaggio. Lo scenario è magico.
Arrivati all’ingresso veniamo accolti da un gruppo di tedeschi già incontrati sulla pista delle maree: sette moto, accompagnate dal camion di Thomas Trossmann di Wüstenfahrer. Sono attrezzatissimi, ed evidentemente esperti di magia: fanno apparire per incanto due birre ghiacciate nelle nostre mani. Roba da non credere!
Seguiranno grandi racconti di viaggio e la prima cena decente da giorni a questa parte. La notte trascorre serena; la tenda aperta sui lati ci lascia immersi nei suoni dei ruscelli, dell’acqua che gocciola dalla parete rocciosa, e degli uccelli notturni che volano nel buio.
Seguiranno grandi racconti di viaggio e la prima cena decente da giorni a questa parte. La notte trascorre serena; la tenda aperta sui lati ci lascia immersi nei suoni dei ruscelli, dell’acqua che gocciola dalla parete rocciosa, e degli uccelli notturni che volano nel buio.
Stage 4
- Percorso: Passo di Tifoujar - Toungad - Terjit (visita e notte nelle tende berbere dell'oasi)
Awesome !!!!!!
RispondiEliminaSpettacolare
RispondiEliminaSpettacolare
RispondiEliminaFantástico! Non mi perdo una puntata! Complimenti per il viaggio.
RispondiEliminaDi dove siete? Quel honda tottene mi dice che non siamo molto lontani!
Apparte il gps, le cartine che avete di che tipo sono? In mauritania vale lo stesso la classica cartina stradale?
Simone
Grazie! Di Torino in realtà, ma la moto arriva effettivamente da Tottene...
RispondiEliminaCarte: usavamo la serie di carte topografiche IGN 1:200.000 (si trovano in rete cercando un po'); molto datate ma ancora utili. La carta stradale migliore credo sia quella di Gizi Map, 1:1.750.000, ben aggiornata, utile comunque solo per la pianificazione generale. Poi tante guide che spesso hanno cartine delle zone che descrivono... A proposito, inseriremo una bibliografia!
Ciao e complimenti, bellissimo viaggio e bellissimo racconto.
RispondiEliminavolevo chiedervi lumi sulla questione sicurezza. sul sito della Farnesina "Dovesiamonelmondo" sconsigliano vivamente viaggi in Mauritania in generale ed ancora peggio nelle aree desertiche.
voi che situazione avete trovato? avevate preoccupazioni al riguardo o siete partiti tranquilli:
grazie
Roberto
La regione di Atar è del tutto tranquilla. In base alle informazioni che avevamo raccolto prima della partenza attualmente è da evitare solo la zona di Nema, le zone di confine sud-est ed il grande nord, che comunque sono parecchio fuori rotta.
RispondiEliminaSul posto non abbiamo avuto assolutamente nessun problema, nè osservato situazioni di tensione o rischio; anzi abbiamo sempre incontrato persone accoglienti, amichevoli e disponibili. Ci sono posti di controllo di polizia, gendarmeria ed esercito su tutte le strade, ad intervalli regolari. E' una scocciatura, ma va apprezzato so sforzo che fanno per tenere sotto il massimo controllo la regione. Peraltro poliziotti e militari a questi posti di blocco sono sempre stati molto cordiali con noi.
Ovviamente la Farnesina si tiene sul sicuro sconsigliando qualsiasi viaggio. Ma se pensiamo che la Mauritania sta facendo un grosso sforzo per mantenere la sicurezza nei suoi confini nonostante tutti i casini che succedono nella regione, è un po' un peccato che l'Europa le volti le spalle. Questi consigli di sicurezza hanno un effetto devastante sull'industria del turismo locale, che è ormai completamente in ginocchio. Sicuramente in questo modo non stiamo aiutando chi con sforzo sta facendo la sua parte per contrastare le derive che stanno contagiando il mondo.