Stage 8. Fuori dal Tunnel
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C’è un momento in ogni viaggio in cui ti rendi conto che i giorni che ti restano e la distanza che ti separa dalla destinazione finale sono tali che non è possibile andare più lontano, e non c’è più spazio per divagazioni. Il viaggio, seppur ancora lontano dalla fine, entra nella fase del ritorno.
Per noi accade oggi: siamo ad Atar e fra pochi giorni abbiamo un appuntamento con un traghetto che non possiamo perdere, a Tangeri, 3000 km più a nord. Per prima cosa dobbiamo recuperare il nostro furgone a Nouadhibou, e ci sono due strade per arrivarci: percorrere 900 km sull’unica strada asfaltata, oppure sfidare i limiti di autonomia dei nostri mezzi affrontando una pista di 480 km senza certezza di trovare rifornimenti. La vecchia XRV è ben attrezzata: con i serbatoi posteriori si porta appresso ben 36 litri di benzina. Ma sulla nuova CRF siamo riusciti ad integrare il misero serbatoio da 18 litri solo con una tanica da 5 litri. Sarebbero sufficienti su piste di terra dura, dove andando piano si fanno comodamente più di 20 km/l; ma di questa pista, che abbiamo già percorso dieci anni fa, ricordiamo molti tratti di sabbia soffice, in cui si può consumare il doppio come il triplo. Impossibile fare qualsiasi previsione. Che fare? Ripiegare su un mesto ritorno su asfalto, o correre il rischio di restare senza benzina in mezzo al nulla? In questo viaggio siamo già stati abbastanza fortunati, a parte qualche foratura di troppo, gli insabbiamenti, le scorte d’acqua sempre risicate, e una moto andata a fuoco... forse non è il caso di andarci a cercare rogne. Ma ci serve pur qualcosa da raccontare ai nipotini per quando saremo vecchi, per cui optiamo per la pista!
Quattrocentottanta km di sabbia, con un unico riferimento: le rotaie della ferrovia che porta il minerale grezzo dalle miniere di ferro del Nord fino al porto di Nouadhibou, e che va tenuta sempre a destra per non sconfinare nel Sahara Occidentale. Ci mettiamo alla ricerca di qualche soluzione per trasportare altra benzina. Ce la fornisce il bazar del paese, che ha una scorta di taniche di plastica per l’olio di frittura, naturalmente usate. Ne leghiamo una per lato alle barre anteriori della CRF: un accrocchio inguardabile, che seppellisce l’estetica della moto e suggella in modo definitivo il nostro look da pezzenti. Speriamo di non cacciarci in qualche guaio: con la moto conciata così la foto sul trafiletto di cronaca “Due sprovveduti vagano per giorni nel deserto” sarebbe troppo imbarazzante!
La “pista del treno” comincia a Choum, piccolo villaggio a nord di Atar che si raggiunge con una strada in buona parte asfaltata. Con un pizzico di sorpresa, ad uno dei soliti posti di blocco incontriamo tre monocilindrici targati Italia, con un pick-up al seguito. Li avevamo annusati fin dal nostro arrivo in Mauritania: al campeggio dove abbiamo lasciato il nostro Doblò avevamo visto un Land Rover targato ‘Roma’ con carrello da moto, per cui da qualche parte in Mauritania ci dovevano essere dei motociclisti della capitale… Non siamo colpiti dalla sorpresa nel trovarli, quanto dalla fortuna nell’incontrarli prima di un tragitto tanto impegnativo per la nostra autonomia. Incontrare dei connazionali con un pick-up sulla stessa pista potrebbe fare la differenza in caso di problemi, ma chissà se le nostre tracce si incroceranno più in là , in mezzo al nulla…. Per il momento ci accontentiamo di grandi saluti e di registrare un pizzico di stupore nel vedere che l’Africa Twin appena arrivata ai concessionari ha già raggiunto questa terra ostile.
Con le nostre moto bicilindriche il ritmo è più sostenuto che con i mono, e ci lasciamo alle spalle “i romani”. È ancora presto quando arriviamo a Choum, quindi dopo esserci sincerati che in questo paese si trovi benzina ci regaliamo una deviazione. Prima di partire, studiando il percorso sulle foto satellitari, ci eravamo imbattuti in una curiosità : poco più a Est di qui, una traccia molto netta sembrava sparire nel nulla ai piedi di un massiccio roccioso isolato, per ricomparire qualche km più a Nord. Una breve ricerca svelava il mistero: si tratta di una galleria ferroviaria abbandonata, costruita dai francesi in epoca coloniale. Vien da chiedersi, perché scavare 2 km di galleria nel granito quando 1 km più in là si può passare in una pianura sterminata? Il fatto è che da queste parti i confini sono stati disegnati con la squadretta su una cartina, e la matita di qualche burocrate ha disegnato un angolo retto proprio in questo punto. Per evitare la montagna i francesi avrebbero dovuto sconfinare di un paio di km nel Sahara Occidentale, allora colonia spagnola; ma ritennero inaccettabile le condizioni proposte dalla Spagna e preferirono scavare quello che fu soprannominato il “monumento alla stupidità europea in Africa”... Con il ritiro della Spagna dal Sahara Occidentale, il tunnel fu abbandonato e la linea fu spostata di due km nel territorio attualmente controllato dal Fronte Polisario.
Questa storia ci incuriosisce e, sapendo di poter fare il pieno a Choum, ci spingiamo fino a raggiungere la massicciata ferroviaria abbandonata, su cui si può però correre solo a tratti dato che presenta profondi tagli. Dobbiamo deviare più volte su un terreno sconnesso, reso ancor meno agevole da scavi, solchi lasciati dalle piogge stagionali e da resti di carrozze deragliate e accartocciate come se fossero di cartone. Esploriamo il tunnel con curiosità e circospezione, fra lo svolazzare dei pipistrelli poco abituati al rombo dei motori.
Questa storia ci incuriosisce e, sapendo di poter fare il pieno a Choum, ci spingiamo fino a raggiungere la massicciata ferroviaria abbandonata, su cui si può però correre solo a tratti dato che presenta profondi tagli. Dobbiamo deviare più volte su un terreno sconnesso, reso ancor meno agevole da scavi, solchi lasciati dalle piogge stagionali e da resti di carrozze deragliate e accartocciate come se fossero di cartone. Esploriamo il tunnel con curiosità e circospezione, fra lo svolazzare dei pipistrelli poco abituati al rombo dei motori.
Tornati a Choum riempiamo taniche e serbatoi fino all’orlo e partiamo per la nostra traversata… In effetti la pista non è eccessivamente tecnica, e la navigazione è resa semplice dalla presenza dei binari del treno. I grandi spazi permettono di correre a piacimento; la pista alterna fondo battuto e scorrevole a tratti di sabbia molle, ed il divertimento di buttarcisi dentro a tutta velocità come bambini nelle pozzanghere compensa almeno in parte la monotonia del paesaggio piatto. Divertimento accompagnato però dal pensiero che ogni tratto di sabbia aumenta il nostro consumo medio: sono veramente tanti, e forse neanche le taniche aggiuntive basteranno!
Non possiamo mancare la piccola deviazione per il monolite di Ben Amira, il terzo più grande al mondo, e del più piccolo ed evocativo monolite Aicha. Il luogo è ricco di fascino e di energie positive, con la curiosità di alcune sculture moderne sparse sulle rocce granitiche dei dintorni, realizzate in occasione di un ritrovo di scultori eccentrici.
E proprio sotto il monolite riconosciamo inequivocabili tracce fresche di moto: non possono che essere i tre romani di questa mattina, che ci hanno superati mentre noi andavamo a cercare il tunnel di Choum. Forse se facciamo in fretta li potremmo raggiungere… se non fosse che foriamo l’ennesima ruota anteriore. Difficile a questo punto sperare di recuperare il distacco. Peccato perché con il loro fuoristrada al seguito rappresentavano un’ancora di salvezza in caso di necessità ...
Terminata questa riparazione inizia a farsi sera, ma ripartiamo spediti facendo finta di non accorgerci che il sole sta calando. Correre nella notte su questa pista a tratti veloce ed a tratti tecnica è uno spasso irripetibile: la luce radente dei fari permette di “leggere” le asperità del terreno, ma i passaggi nella sabbia sono letteralmente un salto nel buio, per cui bisogna lasciarsi guidare dall’intuito e soprattutto affidarsi al gas aperto! È una corsa così gustosa che sembra di non sentire la stanchezza, così maciniamo km ad oltranza, in preda a delirio dakariano.
Ad un certo punto vediamo in lontananza la luce di una torcia che punta nella nostra direzione.
È un posto di blocco, presidiato da tre militari visibilmente perplessi nel vedere due alieni in moto sfrecciare di notte su questa pista in mezzo al nulla. Non deve essere semplice per loro immaginare per quale motivo corriamo nel cuore della notte, ma noi facciamo finta che sia una cosa assolutamente normale. Ci offrono un riparo per trascorrere la notte, ma noi stiamo correndo la nostra tappa, e liquidiamo anche questo “controllo orario” con una fiche d’identité ed una stretta di mano!
Presto però incappiamo in un passaggio più impestato: una gran sudata per uscire da un insabbiamento ci riporta alla realtà e decidiamo di fermarci. Cena frugale allietata dalle acrobazie di un topino del deserto, che incurante della nostra presenza fa una scorpacciata degli insetti attirati dalle nostre lampade frontali. Davide è ormai entrato nella parte: “Stanotte voglio fare il dakariano, niente tenda, io dormo qua sulla sabbia, vestito come sono!” dice alludendo a quando i privatoni degli anni d’oro della Parigi-Dakar -persi nel deserto- decidevano di fermarsi a riposare qualche ora per cercare le giusta rotta con le prime luci dell’alba. Ma noi evidentemente non abbiamo il fisico: ci bastano 20 minuti di fredda sabbia per farci decidere di srotolare i sacchi a pelo…
Ci addormentiamo con lo spettacolo delle stelle, e la notte trascorre tranquilla, il sonno interrotto solo dal muggire rabbioso dei motori diesel del treno, che in questa distesa infinita inizia a percepirsi con mezz’ora di anticipo, e impiega mezz’ora per svanire lasciando il posto al silenzio del deserto.
Stage 8
- Percorso: Atar - Tunnel di Choum - Choum (rifornimento) - campo a 30 km da Tmeimichat